Scommettiamo che I tre moschettieri – D’Artagnan ti piacerà?
Su GameSurf vi ho spesso parlato di come il cinema francese sia per molti versi inarrivabile per traguardi e possibilità rispetto alle produzioni nostrane. I tre moschettieri – D’Artagnan è l’occasione perfetta per spiegare perché, al di là di facili campanilismi.
Questo nuovo adattamento della trilogia di romanzi cappa e spada di Alexandre Dumas infatti è destinato a raccogliere un discreto successo e a piacere senza però entusiasmare. Magari non vi rapirà il cuore, magari non raccomanderete caldamente agli amici di andare al cinema, però è probabile che lo vediate in sala o in streaming o in un noioso pomeriggio su Italia1, quando tra qualche anno verrà trasmesso in chiaro. Probabilmente andrete anche a vedere il secondo capitolo: il primo romanzo I tre moschettieri infatti è diviso il due film. La prima parte è dedicata a D’Artagnan, la seconda (in uscita nel 2024) incentrata su Milady.
Meglio che esca prima che dopo, perché questo nuovo adattamento di uno dei pochi e veri classici letterari internazionali e immortali è stato precisamente pianificato per essere goduto dal pubblico del 2023. Quello che in sala ci va quasi solo per vedere i blockbuster, quasi solo quando ci sono supereroi di mezzo, che preferisce l’azione al sentimento, che è convinto che un approccio “realistico e oscuro” alla Batman di Nolan sia preferibile a qualcosa di più sgargiante o storicamente accurato.
In Francia esiste un’industria cinematografica in cui è evidente che qualcuno pensa e finanzia progetti con l’obiettivo di creare successi di botteghino. Sembra una banalità ma è un’affermazione che si spende raramente per il cinema italiano, solitamente per i film del duo Rovere & Sibilia, come per il recente, molto riuscito Mixed By Erry. Quando c’è di mezzo la loro casa di produzione – Groenlandia – è evidente che non si spari a vuoto, ma con una precisa logica commerciale dietro.
Rovere e Sibilia però non hanno 70 milioni di euro a disposizione. In Europa solo i francesi di Gaumont e Pathé li hanno e solo loro sono disposti a rischiarli. Non prima però di aver valutato il miglior modo per farli fruttare.
Continua a leggere la recensione di I tre moschettieri – D’Artagnan:
- Come nasce I tre moschettieri – D’Artagnan
- Le differenze tra libro e film di I tre moschettieri – D’Artagnan
- Cosa funziona e cosa no in I tre moschettieri – D’Artagnan
Come nasce I tre moschettieri – D’Artagnan
Quella che sto per raccontarvi è una storia metà basata su dichiarazioni ufficiali, l’altra metà su speculazioni verosimili.
Il primo fatto incontrovertibile è che, seppur in Francia si vada al cinema molto di più e molto più spesso di quanto succede in Italia, il mercato sta subendo cambiamenti profondi e, in taluni casi, una discreta flessione.
Negli anni anche in una nazione sciovinista come la Francia il cinema statunitense è diventato il dominatore del botteghino, erodendo quote di mercato ai prodotti nostrani e al cinema europeo e del resto del mondo. Domaninano supereroi, super-blockbuster, super mazzate o leggerezza estrema: esattamente quel che è successo in Italia, solo molto più in grande.
A questo punto vale la pena di sottolineare che in anni recentissimi anche in Italia è stato prodotto un adattamento de I tre moschettieri, anzi due. Ricordate? Moschettieri del re e Moschettieri del re – La penultima missione. Due film di spiccato stampo comico con un cast all star nostrano (Pierfrancesco Favino, Rocco Papaleo, Margherita Buy, Sergio Rubini, Valerio Mastandrea).
Il processo di adattamento era affascinante, a modo suo: la sceneggiatura era probabilmente scritta su un tovagliolino usa e getta di un bar. Si partiva dai pochi elementi archetipici dei personaggi e li si esagerava fino a renderli una caricatura. Il fascino di quell’adattamento era lo spirito di pura improvvisazione (che fosse vera o no in questo caso è un problema secondario), tanto da rendere ogni tanto i personaggi incoerenti tra il primo e il secondo film. L’imperativo era: cazzeggiare divertendosi, anche a livello produttivo.
Torniamo agli amici francesi che – qui parte la speculazione – si devono essere detti: se al cinema funzionano i blockbuster americani, allora facciamo un blockbuster americano in Francia. Così hanno fatto, seguendo le regole delle major USA.
Qual è la prima regola? Evitare storie originali come la peste, scegliendo personaggi e narrazioni già familiari al pubblico e con un alto coefficiente di “franchisibilità”. Niente di nuovo, nemmeno qui: Dumas era il re delle trilogie commerciali prima ancora che Tolkien apparisse sulla scena. La scrittura stessa dei romanzi dei moschettieri è pensata per tenere avvinto il pubblico capitolo dopo capitolo (dato che inizialmente erano pubblicati a puntate).
Il regista Martin Bourboulon con il produttore Dimitri Rassam hanno dichiarato che lo scopo era “creare un evento”, come avviene per i grossi franchise statunitensi. Hanno così vagliato una serie di romanzi francesi celeberrimi e ideali da trasformare in un film avventuroso e trasversale. È stato per esempio considerato anche Il conte di Montecristo (e non è detto che non arriverà in un futuro vicino).
Le differenze tra libro e film di I tre moschettieri – D’Artagnan
Una volta presa la storia arcinota di come D’Artagnan conosce i tre moschettieri Porthos, Athos e Aramis, aiutando il re Luigi XIII di Francia a sopravvivere ai tremendi complotti del cardinale Richelieu e la sua sposa a tenere segreta la relazione con l’inglese duca di Buckingham, inizia il problema di come adattarla.
Non si può che fare tanto di capello (piumato) a quanto i francesi si siano dimostrati abili nel replicare il modello statunitense. Anzi: il sospetto è che questo adattamento sia pensato per genere il processo opposto e, nel migliore dei casi, spopolare anche negli Stati Uniti.
Vedendo questo film doppiato sfido chiunque a comprenderne la nazionalità. Il cast è formato sì da interpreti per la maggior parte francesi, ma guarda caso raduna tutti i nomi più noti a livello internazionale e in particolare statunitense. Eva Green è Milady (e le verrà dedicata la seconda parte), Vincent Cassel e un Athos che diventa il quasi protagonista del film, con una lunghissima aggiunta al romanzo originale che dona a quest’avventura un tocco di giallo, con tanto di momento legal drama.
Che dire poi di Louis Garrel e Vicky Crieps nei panni della coppia reale? Oltre che essere perfetti per i rispettivi ruoli, sono due dei nomi francesi più spendibili a livello europeo. Il migliore del gruppo è forse Romain Duris nei panni di Aramis, che guarda caso ha lavorato anche negli Stati Uniti per Ridley Scott (curiosità: interpretando un italiano rapitore in canotta bianca mangia-maccheroni).
La storia dunque è abbastanza simile a quella del romanzo, ma con continui innesti e semplificazioni pensati per dare l’impressione di ricco film in costume con tanti combattimenti e azione, limando ogni specificità che possa stranire il pubblico anglofono. I puntali di diamanti, esattamente, cosa sono? Meglio una collana, no?
Impressionante poi è l’approccio realistico che guarda alla recente evoluzione del genere cinecomics. Ricordate quando Christopher Nolan con la sua trilogia di Batman ha postulato che un supereroe va preso sul serio e quindi deve muoversi in un mondo iper-realistico di intrighi politici, scenari desaturati di ogni colore e cupo realismo?
Dimenticate quindi cappe di un blu sgargiante, piume, colori vividi. Dimenticate l’apparente leggerezza con cui i protagonisti si muovono in una Francia seicentesca tutta intrighi e seduzioni senza che nessuno si faccia male.
Il film di Martin Bourboulon si apre nel 1627 con la nazione sull’orlo della guerra civile religiosa tra cattolici e protestanti, con il cardinale Richelieu vicinissimo a tentare un colpo di stato. D’Artagnan viene seppellito vivo nei primi cinque minuti di film e si fa poi largo per una Parigi tutta marroni e grigi, cupa e pericolosa.
La mimesi con il cinema statunitense è tale che se ne replicano i peggiori difetti. Nei tanti corpo a corpo e duelli di spada molto fisici e molto violenti, non si riesce a capire che stia succedendo. Un po’ perché come tanti colleghi statunitensi (Nolan incluso) Martin Bourboulon proprio non sa girare scene d’azione di facile lettura, un po’ perché ovviamente non poteva mancare la solita fotografia molto scura.
Cosa funziona e cosa no in I tre moschettieri – D’Artagnan
In definitiva I tre moschettieri – D’Artagnan è un film riuscito o no? A dirlo sarà solo il botteghino, che è il principale interesse di questo film. L’obiettivo era “americanizzare” un tesoro letterario e culturale francese e, in questo senso, la missione è brillantemente portata a termine.
Il problema è che da questa americanità come modello da ripetere raramente sono spuntati fuori film memorabili o davvero d’impatto. Se si pensa a un John Wick (che comunque sembra già essersi perso) o ai film Marvel più dirompenti, a colpire sono stati soprattutto titoli e franchise in grado di muoversi al di fuori dalle aspettative, di cambiare e non seguire le regole.
È innegabile però come tanti film diventino commercialmente rilevanti proprio perché riescono ad appagare il bisogno di medianità del pubblico. Serve soprattutto una serie di abbastanza: un film abbastanza divertente e abbastanza spettacolare, con un cast abbastanza famoso per una storia abbastanza nota, con abbastanza ironia da assicurare una visione abbastanza soddisfacente.
Di sorprese insomma ce ne sono poche, nonostante i tanti cambiamenti. La più rilevante forse è quella dell’atmosfera da “viviamo tempi oscuri”, in cui nessuno è al sicuro. C’è in particolare un’aggiunta verso la fine del film che sembra essere la rielaborazione cinematografica dei tanti attentati che si sono consumati in Francia nell’ultimo ventennio, più che di quella tormentata epoca.
Tra i limiti di questo film è che tenta così tanto di mescolarsi nel panorama cinematografico attuale c’è quello di da avere ben poco che lo distingua dal resto. Gli spettatori più stagionati, con molti adattamenti dei moschettieri alle spalle e magari un paio di letture del romanzo sotto la cintura, potrebbero gridare al sacrilegio. Io stessa da amante dei moschettieri di Dumas sto ancora tentando di capire se non mi è piaciuto o semplicemente sono invece ancora in una fase di negazione rispetto a questa svolta cupa e più pesante del passato.
Sono passati 12 anni dall’adattamento più sopra le righe, rutilante e kitsch mai tentato del romanzo: I tre moschettieri del 2011 con Milla Jogovich nei panni di Milady. Con le sue esagerazioni costumistiche e comiche e il suo taglio steampunk, è ancora vivo nella memoria degli spettatori, in termini assolutamente positivi o terribilmente negativi. Il principale difetto di questa pellicola è che dubito ce ne ricorderemo tra 12 mesi, figuriamoci 12 anni.
7/10 Se il tuo obbiettivo è attirare un pubblico senza troppe pretese promettendogli un film simile a quanto è abituato a vedere, il fatto di non essere in alcun modo memorabile è un po’ il punto no? Un adattamento molto curato, sontuoso e anche un po’ cupo, a cui manca quel guizzo, quel qualcosa in più per entusiasmare davvero lo spettatore.