Mon Crime, recensione: Vostro Onore, nessuna obiezione contro questa deliziosa commedia poliziesca

Mon Crime la colpevole sono io è una commedia che un regista come il francese François Ozon può girare da addormentato, a occhi chiusi, tanto il tema e i registri di questa pellicola sono affini al suo gusto.

È questo un po’ il punto e il limite di una deliziosa commedia francese che guarda con malizia e ironia al femminismo di oggi, usando come punto di partenza una pièce teatrale di ieri. Certo, Ozon è l’uomo giusto da mettere dietro la cinepresa. Nella prima parte della sua carriera infatti ha inanellato una serie di film che dietro i toni brillanti della commedia e i perfetti tempi comici dei suoi cast hanno saputo sferzare e titillare il pubblico. Il regista di 8 donne e un mistero e Potiche – La bella statuina è la scelta naturale per un film che fonde giallo all’inglese, legal drama e commedia di stampo teatrale, con una bella iniezione di ambiguità sessuale e femminismo.

Tuttavia proprio nel confronto con le pellicole del passato è evidente come Mon Crime sia girato con il pilota automatico, da un regista che sa come far funzionare un film del genere. È tutto testa e calcolo, è quasi un esercizio ginnico, la naturale flessione di un muscolo cinematografico che Ozon non usava da un po’ ma ha ben sviluppato. Nel frattempo ha esplorato altri generi e registri ma è anche cambiato come autore. Questo forse è ciò che rende Mon Crime un film divertito ma non sentito: manca il cuore, una volta vero motore delle sue commedie.

Mon Crime è un ottimo esercizio di stile che piacerà a chi è digiuno della filmografia ozoniana, ma ai vecchi affezionati apparirà da subito evidente come la testa e il cuore di Ozon siano altrove, cinematograficamente parlando.

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Di cosa parla Mon Crime – La colpevole sono io

Mon Crime adatta liberamente una commedia teatrale francese del 1934, firmata da Georges Berr e Louis Verneuil. Sorpresa: anche negli anni ‘30 si rifletteva sul ruolo femminile nella società maschile e patriarcale, sulla sua ambivalenza. Basta quindi un po’ di lavoro d’aggiornamento per lasciare inalterato il periodo storico e sfruttare ambientazioni e costumi retrò, parlando però allo spettatore del presente.

La protagonista del film è un’attrice senza un soldo e un ingaggio. Nella speranza di ottenere una parte Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz) si reca nell’ufficio di un produttore teatrale, ma finisce per dover rifiutare la sue attenzioni non gradite. Poche ore più tardi l’uomo viene trovato morto, freddato da un colpo di pistola e alleggerito da un’ingente somma di denaro.

Madeleine non è una colombella indifesa, anzi. Lei e l’amica e avvocatessa Pauline Mauléon (Rebecca Marder) tengono sulle spine il proprietario di casa inventandosi ogni scusa per non pagare l’affitto. Sono gioiose, sognatrici, maliziose e dunque irresistibili. Tanta gaiezza viene solo momentaneamente interrotta dall’arresto per omicidio di Madeleine. Lei e l’amica infatti escogitano un piano geniale: dichiararsi colpevoli e invocare la legittima difesa, anche se Madeleine questo omicidio non l’ha commesso. L’eco mediatica del caso favorirà la carriera di entrambe, rendendole dive.

Il processo dunque diventa una farsa, una commedia sul patriarcato in cui alla sbarra c’è il ruolo delle donne, più che una presunta omicida. Madeleine affronta la situazione come se si trattasse di una pièce teatrale di cui è la protagonista, spalleggiata dall’amica che ha più che un interesse professionale per lei…d’altronde, siamo pur sempre in un film d’Ozon.

Tutto bene quel che finisce bene? No, perché alla porta delle due busserà una celebre diva del muto di nome Odette Chaumette (Isabelle Huppert), rivendicando l’omicidio e la notorietà che Madeleine ne ha ricavato.

Cosa funziona e cosa no in Mon Crime – La colpevole sono io

Per essere un film di Ozon, Mon Crime è così didascalico nelle sue spiegazioni e interpretazioni sociali da diventare quasi didattico.

Il regista francese può rivendicare di essere sempre stato dalla parte giusta del femminismo, ben prima che diventasse un pre-requisito quasi necessario per girare un film. Tuttavia Mon Crime nei suoi momenti meno riusciti suona un po’ come una lezioncina calata dall’alto più che una partecipata osservazione sul doppio standard che affligge le donne di ieri e di oggi. Le sue eroine sono invisibili e degradate, almeno fino a quando non sobillano le paure o l’erotismo del pubblico maschile. Tutto bello e condivisibile, ma sin troppo schematico nell’esecuzione.

Ozon nasconde il suo scarso coinvolgimento dietro un cast francese coi fiocchi, che mescola grandissimi nomi come Isabelle Huppert e Fabrice Luchini a giovani promesse che non vediamo l’ora di rivedere. Huppert e Luchini questo genere di ruoli svampiti e macchiettisti li fanno col pilota automatico tanto quanto il regista che li dirige.

Regista che da sempre ha dimostrato un fiuto infallibile per selezionare interpreti piacenti e capaci destinati a sfondare. Dopo Forever Yong e Mon Crime, Nadia Tereszkiewicz è già avviata a diventare una star, a cui non guasta una bellezza che buca lo schermo. Rebecca Marder è una di quelle interpreti con una certa carriera alle spalle ma a cui forse nessuno, prima di Ozon, ha dato modo di brillare: qui ammalia, vera protagonista di una storia che rispetto al passato rende implicita la malizia e l’erotismo, di cui lei si fa perfetta interprete.

Negli ultimi 20 anni Ozon si è fatto più austero e più oscuro nei suoi film. Inutile negarlo: il drammatico Grazie a Dio e il minimale È andato tutto bene sono ben più vicini al regista e all’uomo che è oggi. Mon Crime è una concessione alla nostalgia che il suo pubblico prova per il giovane Ozon, brillante e provocatore.

Il regista può ancora fare quel tipo di film, ma forse è troppo cambiato e maturato, persino invecchiato, per dirigerli con convinzione.

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